Nel 1927, a dodici
anni, fui portato all'ospedale di Samedan per un intervento chirurgico. Un
giorno, ero ormai in convalescenza, un'infermiera mi portò un mazzo
di matite a colori che mi arrecarono una gioia incredibile. Fu per me la scoperta
dei colori. Vedo ancora oggi quei rosa e viola chiaro.
In primavera e in autunno, come pastorello, osservando il cielo blu e chiudendo
poi gli occhi, vedevo un affascinante gioco di colori meravigliosi. Amavo
specialmente le farfalle. Mi sembravano gli esseri più belli del Creato.
Terminati
gli studi alla Magistrale di Coira, frequentai un corso di scultura e modellatura
alla Scuola d'arte a Firenze. Nel campo della pittura sono autodidatta. Quello
che ho raggiunto è frutto di un lungo e paziente lavoro personale. Attraverso
le loro opere e le relazioni i grandi Maestri bregagliotti della pittura mi
hanno continuamente indotto a persistere nella ricerca e nel lavoro di produzione.
La mia tecnica? Dipingo ubbidendo ai miei sentimenti.
Mi servo di colori vivi e puliti. Cerco di far parlare la luce e l'ombra, le
sfumature di colori, dipendenti dalle stagioni e dall'ambiente.
Cerco di colpire l'occhio dell'osservatore coi colori e con il gioco delle linee.
L'acquerello è sempre stato ed è tuttora la chiave della mia tecnica:
una pittura fresca, umida, spontanea e direi decisa. La pittura mi è
mezzo per esprimere i miei pensieri e sentimenti, le cose che mi preoccupano.
Ammirare Madre Natura e fissare col pennello le cose che mi hanno impressionato,
non trascurando mai il lavoro di ricerca nel campo del linguaggio pittorico,
ecco la mia grande gioia.
Vitale
Ganzoni: Mostra itinerante della PGI, estate 1967.